Disturbi dell'identità di Genere

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Disturbi dell'identità di Genere

  • Transessualità e Disforia di genere / Tematiche LGBTA+ / Sessuologia

Il termine identità sessuale si riferisce alla complessa relazione che si viene a creare fra diversi elementi, fra cui principalmente il “sesso”, inteso da un punto di vista biologico (anatomico e genetico), il “ruolo sessuale” dato dal comportamento espresso, il “genere sessuale” inteso nel suo senso più ampio, ossia come categoria in cui una persona si sente di rientrare ed il “vissuto sessuale”, cioè l’insieme dei sentimenti, delle emozioni e dei pensieri che ognuno di noi prova ed esperisce riguardo al proprio sesso ed alla propria sessualità.

L’identità sessuale è la percezione che abbiamo di noi stessi e della nostra sessualità, in maniera unitaria e persistente.

La cultura occidentale prevede fondamentalmente l’esistenza di due generi: maschio e femmina, che corrispondono ai due sessi biologicamente espressi.

Esistono notevoli “sfumature” a questa visione dicotomica, a partire da quelle situazioni anatomiche che vanno sotto il nome di ermafroditismo fino ad arrivare a quello che ci interessa, ossia a quelle situazioni in cui il sesso biologico non corrisponde al vissuto personale ed all’autopercezione del soggetto, che di conseguenza vive una condizione di difficoltà nel trovare un “proprio ruolo sessuale”.

Oggigiorno la scienza ammette sempre più facilmente che esista la possibilità, non patologica, che ci siano diversi modi di esprimere la propria sessualità e quindi di avere un’identità sessuale, che allora non è più immaginata come rigida e dicotomica, maschio-femmina, ma fluida e contenente le variazioni del caso.

Emerge così come “il sesso alla nascita” non determini in modo univoco ed immutabile il genere ed il vissuto sessuale di un individuo.

Inoltre, sappiamo che non esiste una relazione di univocità imprescindibile, con nesso di causalità fra gli aspetti biologico e psicologico.

Attualmente, definiamo “disforia di genere” (termine che ha sostituito quella di “disturbo d’identità di genere”, ritenuta troppo negativa nel termine “disturbo” che rimanda ad una patologia) una marcata incongruenza tra il genere esperito-espresso da un individuo e il genere assegnato socialmente e biologicamente.

Esistono numerosi criteri, il DSM V ne riconosce almeno 8, che rientrano in questa diagnosi e di cui tenere conto, i più importanti sono senza dubbio: “il forte desiderio di appartenere al genere opposto…”; “una forte preferenza per i ruoli tipicamente legati al genere opposto…”; “una forte avversione per la propria anatomia sessuale…”; “sofferenza clinicamente significativa, associata a forte compromissione del funzionamento in ambito sociale, scolastico, relazionale…”.

La discrasia fra identità percepita e sesso anatomico funzionale si manifesta già nell’infanzia e nell’adolescenza, attraverso l’abbigliamento, la relazione con i pari, i manierismi, la scelta dei giochi etc. È da notare, come emerge da molti studi, come in realtà il soggetto non si comporti esattamente come gli individui dell’altro sesso, ma piuttosto come lui\lei ritiene che si debbano comportare, seguendo così gli stereotipi condivisi dalla sua cultura d’appartenenza.

Durante l’adolescenza queste persone vanno incontro ad una serie di conflitti e problemi che nascono da questa differenza fra la propria autopercezione e la realtà anatomica e sociale.

Spesso si sentono soli, diversi dai compagni e senza una reale speranza di futuro, in quanto disperano di poter un giorno sentirsi “completi” nella loro identità e nel loro corpo.

La situazione disforica può condurre questi giovani ad avere pensieri suicidari e fortemente depressivi, dobbiamo però sottolineare come questo sia il risultato della situazione conflittuale in generale e non tanto o non solo dell’aspetto legato alla disforia di genere, infatti, mostrano gli stessi fattori di rischio per depressione e comportamento suicidario che incidono altri giovani che vivono situazioni conflittuali legate alla scuola, al lavoro, all’amore etc. Ovviamente assumono un’importanza maggiore in quei giovani che ancora non hanno raggiunto una maturità personale e sessuale stabile, come tipicamente accade a queste persone.

Le persone che soffrono di Disforia di genere spesso chiedono, dopo un iter terapeutico appropriato, di poter adeguare il proprio corpo alla psiche e questo comporta di ricorrere alla chirurgia, ma non solo, per la modificazione degli organi genitali primari e secondari. In Italia questo è possibile dal 1982 con la legge 164, che ha riconosciuto: “la possibilità di attribuire un sesso diverso da quello anagrafico in seguito a modificazioni dei caratteri sessuali (art 1)”.

L’Italia aderisce alla Harry Benjamin International Gender Dysphoria Association inc. (HBIGDA) un ente internazionale riconosciuto, che stabilisce i criteri guida e gli standard di riferimento in questo campo, che prevedono l’approccio al paziente da parte di un team multidisciplinare (psichiatra, psicologo, psicoterapeuta, endocrinologo, chirurgo etc.) che lo seguirà nel suo iter medico-chirurgico-psicologico.

Ogni step ha una sua peculiarità ed un obiettivo specifico che si andrà ad integrare nel quadro complessivo del percorso. L’iter psicoterapeutico ha lo scopo di elaborare i conflitti emotivi e cognitivi che si possono presentare durante il percorso.

L’aspetto endocrinologico prevede due fasi correlate fra loro, la prima porta all’annullamento delle caratteristiche sessuali di origine, la seconda l’induzione di quelle del sesso opposto.

La terapia chirurgica, demolitiva da un lato e ricostruttiva dall’altro, è in continua evoluzione con risultati che divengono via via sempre migliori, sia da un punto di vista estetico sia funzionale. Recenti studi ed osservazioni compiute su transessuali sottoposti a riassegnazione chirurgica del sesso, hanno confermato l’efficacia dell’intervento nel migliorare la qualità di vita dei soggetti dal punto divista psicologico, sociale e sessuale.

Prima di tutto però i soggetti devono sottoporsi al Real life test che è considerato parte fondamentale del percorso, esso consiste in un periodo di prova in cui la persona vive a tempo pieno nel nuovo ruolo.

L’obiettivo ovviamente è che, il transessuale, facendo esperienza nel vestirsi, nel comportarsi, o farsi chiamare coerentemente con il genere prescelto etc., confermi o meno la propria decisione di ricorrere alla RCS prima che vengano fatti cambiamenti irreversibili.


Dr. Rossano Tosi
Psicologo, Psicoterapeuta e Sessuologo
a Brescia (BS)

Dr. Rossano Tosi

Psicologo, Psicoterapeuta e Sessuologo

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